Consigli di viaggio – Bahamas

Bahamas, Baja Mar, le isole del “mare basso”. Così i primi europei che giunsero in queste terre caraibiche le nominarono, a causa delle secche sabbiose poco profonde dove le navi s’incagliavano. Nei fondali del mare che circonda l’arcipelago, infatti, sono adagiati i relitti di molti vascelli che hanno fatto naufragio, diventando la specialità del wreck diving delle Bahamas. Incastonate tra la Florida dell’America imperialista e la Cuba rivoluzionaria, le Bahamas fungono per molto tempo da cuscinetto, offrendo una valida alternativa durante la feroce contrapposizione tra i due stati e rappresentando, al tempo stesso, un “porto franco” per eludere divieti e imposizioni vigenti nelle rispettive legislazioni. Così, durante il periodo del Proibizionismo negli Stati Uniti, Nassau, la capitale delle Bahamas, diventa il magazzino del rum spedito via mare; nel 1961, quando Fidel Castro dopo la Rivoluzione proclamò Cuba stato socialista e subì il più lungo embargo commerciale statunitense della storia, gli americani si spostarono alle Bahamas per i loro svaghi. Il turismo di lusso ebbe il suo inizio, con i casinò e il gioco d’azzardo che dilagarono.
Negli ultimi tempi corruzione e narcotraffico hanno minato il governo dell’arcipelago, che è annoverato nella lista nera dei paradisi fiscali offshore. Terra di pirati e avventurieri, le Bahamas, divenute indipendenti nel 1973 pur restando nell’ambito del Commonwealth britannico, non sono però solo ricettacolo di ricchi e famosi sfaccendati, che lucrano sulla bellezza di questo bengodi dei Caraibi. Paradossalmente, e non ci si crede!, si può trascorrere a Nassau felici vacanze anche se non si è particolarmente facoltosi, già solo godendo dell’atmosfera allegra e solare che si sprigiona dal ritmo della vita quotidiana dei suoi abitanti.

La maggioranza mulatta della popolazione di Nassau è ospitale, ridanciana e piena di sense of humour. E’ difficile capire il motivo delle risate che in ogni circostanza accompagna i bahamiani. In effetti, al primo approccio, appaiono seri e alquanto bruschi, senza troppe smancerie. Poi, dopo aver valutato con lo sguardo dritto negli occhi chi hanno davanti, si rilassano e scoppiano in grasse risate a seguito di battute in un misto d’inglese e creolo poco comprensibile al profano. Di certo, alcune situazioni tipo li scatenano. Ad esempio gli uomini non perdono occasione per fare gentili e suadenti apprezzamenti alle donne con il loro affascinante sorriso, dopo aver salutato sempre con un “Good morning good morning” (doppio!) seguito dal “mom” (mammy) caraibico. Le donne, vere “Mammy” opulente ed eleganti, a loro volta stigmatizzano con una fragorosa risata soprattutto le inconsapevoli cadute di stile di qualche turista inadeguata nell’abbigliamento (ad esempio un vestito troppo corto o succinto in pubblico). E’ il loro modo di esprimere una sorta di pudica morigeratezza dei costumi, che fa parte della loro cultura, senza voler essere troppo colpevolizzanti per le incaute straniere! Ma è l’orgoglio della loro indipendenza che li porta a ribadire i ruoli e le gerarchie, ad esempio nei riguardi di turisti americani spesso sopra le righe in fatto di riconoscimento dell’autonomia altrui. Nel loro modo disinvolto e scanzonato, ribadiscono che alle Bahamas comandano loro, su una barca comanda il capitano bahamiano e non il divemaster statunitense, e automaticamente si schierano con quei visitatori stranieri che percepiscono come rispettosi della loro identità. Non è poco nell’era della totale indecorosa compiacenza verso il ricco e il potente.

Se poi si ha la fortuna di capitare a Nassau a Capodanno, la specialità si esplica nel Junkanoo, la festa caraibica per eccellenza, con sfilate di carri allegorici, di musicanti e danzatori in costume. Ogni baracca (shack) partecipa alla competizione sfoggiando travestimenti dai colori brillanti in un tripudio di paillettes e strass. I figuranti arrivano ad indossare complesse composizioni di cartapesta che possono pesare alcune decine di chili. Carri dalle tematiche esotiche, prese dalla natura e dalla storia, come quello meraviglioso che rende omaggio al mare. La figura sinuosa di una subacquea, una sirena degli oceani, circondata da squali, mante e coralli, o quello più politico come parossistica parodia caricaturale dei governanti. E’ un Carnevale, è una festa nazionale, è la tradizione che affonda le radici nell’Africa occidentale da cui discendono gli schiavi delle piantagioni britanniche dei Caraibi. I bahamiani impiegano un anno intero per la preparazione delle loro curate e scintillanti esibizioni e l’organizzazione dell’evento è impeccabile, senza sbavature. I rari bianchi che si trovano ad assistere a questa dirompente esplosione di suoni, di colori e di movenze ritmiche e rutilanti, vengono accolti con grande rispetto e deferenza. Gli isolani si compiacciono degli sguardi sbalorditi d’ammirazione degli stranieri. Li considerano un segno di riconoscimento dell’orgoglio della loro natura e della loro cultura. Ma è la musica, il ritmo dei tamburi, il goombay, originato dalle sonorità folk nordamericane e giamaicane, che la fa da padrone. Il suono delle maracas e dei corni, le bacchette che picchiano con forza sui campanacci, creano il caratteristico clangore che fa: “Kalik kalik kalik!”, versione onomatopeica della birra locale! Gli strumenti a fiato e le percussioni sono ricavati dal conch, la conchiglia dello strombo alla base della cucina bahamiana e regina dei Fish Fry, party all’aperto nelle baracche dai colori pastello, dove si cucina lo strombo fritto e si beve lo Sky Juice, un intruglio di gin, latte di cocco e noce moscata, mixato nelle bottiglie di plastica dell’acqua minerale.
Tutto ciò rappresenta il tessuto connettivo della società bahamiana, fatta di gentilezza e ospitalità, di ritmo e gioia di vivere, ma che mostra la sua indole conservatrice nell’ostilità verso l’omosessualità e nell’ancora poco tutelata condizione femminile (basti pensare che il Parlamento non ha approvato nel 2009 un disegno di legge che avrebbe reso illegale lo stupro coniugale).
E’ già all’arrivo all’aeroporto internazionale Lynden Pindling di Nassau, dove tre folcloristici musicisti danno il benvenuto ai viaggiatori, che s’intuisce la doppia natura delle Bahamas. Lussuose limousine all’esterno in attesa degli ospiti di riguardo, affiancate da taxi sgangherati guidati da arzilli vecchietti con il borsalino in testa per passeggeri senza blasone. Sembra di essere in “Via col vento”, con le donne creole impreziosite dai colorati foulard sistemati sulla testa come turbanti e appuntati con una spilla o un monile d’oro. Le anziane signore di colore, con le camicette a pois e i cappellini anni ’30, appaiono dignitose ed eleganti, naturali e gentili tanto da offrire ad uno straniero bianco di passare avanti alla cassa del supermercato. Avanti a loro, che sono già in fila da un pezzo. Il mondo alla rovescia.
Anche questo è Nassau, anche questo sono le Bahamas. Le Bahamas vere, non quelle dei dépliant turistici e della sfrenata vita notturna d’élite, ma quelle della vita quotidiana dei suoi abitanti, dell’approccio familiare, intimo e gioviale cui sono abituati e che applicano anche con gli stranieri, in un’inclusione rara e d’altri tempi.

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